Piccoli Hitler crescono

lunedì 30 giugno 2008


«Mugabe ha vinto» e sfida il mondo: già pronto a giurare
Il ministro Frattini valuta il richiamo immediato in Italia dell’ambasciatore. Condoleezza Rice preme sugli alleati: «La bozza di risoluzione prevede azioni decise».
Bush annuncia sanzioni più pesanti E l’Onu non va oltre il «rammarico»

Potrebbe prestare giuramento già oggi per un nuovo mandato il presidente dello Zimbabwe Ro­bert Mugabe – dopo il ballottaggio di venerdì, unico candidato dopo il ritiro di Morgan Tsvangirai – , che si appre­sta a conseguire un risultato «a valan­ga ». Fonti governative hanno riferito ieri che lo spoglio delle schede è stato completato e che i primi risultati del voto, da molti definito una «farsa», in­dicano una affermazione netta di Mu­gabe.
A destare dubbi, peraltro, proprio la solerzia dello spoglio: per il primo tur­no ci vollero settimane prima di cono­scere i risultati, che vedevano in testa il partito d’opposizione Movimento per il cambiamento democratico (Mcd). «Il conteggio dei voti indica che nonostante il desiderio dei nostri de­trattori e la propaganda dei nostri ne­mici l’affluenza alle urne è stata mas­siccia e la nostra sarà una vittoria a va­langa », ha detto una delle fonti. Testimoni e osservatori hanno invece parlato di seggi semideserti in molte zone del Paese e di elettori costretti a votare. Diversi leader internazionali sono insorti contro il voto a candida­to unico e hanno chiesto che il caso Zimbabwe venga inserito nell’ordine del giorno del vertice dell’Unione afri­cana (Ua) in programma da domani in Egitto. L’Unione europea ieri è torna­ta a condannare «nella maniera più fer­ma » l’organizzazione del secondo tur­no in Zimbabwe. Secondo il commis­sario europeo allo Sviluppo, Louis Mi­chel, qualunque soluzione della crisi in Zimbabwe dovrà basarsi sui risulta­ti del primo turno delle elezioni presi­denziali. Per il premier britannico Gor­don Brown «il tentativo di tenere le e­lezioni è stato un nuovo punto basso. Il mondo si sta unendo nel respingere il regime illegittimo di Robert Muga­be ». «Non accettiamo interferenze», ha replicato il ministro della Giustizia del­lo Zimbabwe, Patrick Chinamasa. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non ha raggiunto l’altra notte una posizio­ne unitaria su un testo che dichiaras­se illegittimo il risultato dello scruti­nio. I 15 membri, « profondamente rammaricati», hanno ritenuto che mancassero «le condizioni per un vo­to libero e corretto» e hanno condan­nato il fatto che le elezioni «abbiano a­vuto luogo in tali circostanze», ha det­to l’ambasciatore Usa Zalmay Khalil­zad. Ma l’ambasciatore sudafricano, Dumisani Kumalo, ha impedito l’ado­zione di un progetto di dichiarazione molto più incisivo, che contenesse l’af­fermazione che il risultato delle ele­zioni del 27 giugno non può avere «né credibilità né legittimità» e che i risul­tati di quelle tenutesi il 29 marzo a­vrebbero quindi dovuto « essere ri­spettati ». L’Mdc ha nettamente criti­cato la posizione del Sudafrica all’O­nu. Il segretario di Stato americano Con­doleezza Rice ha comunque annun­ciato che Washington intende presen­tare la prossima settimana al Consiglio di Sicurezza una bozza di risoluzione che preveda «azioni decise» contro il governo dello Zimbabwe. «Vedremo come reagiranno Russia e Cina, ma è difficile immaginare che qualcuno possa rifiutarsi di agire», ha aggiunto la Rice. Il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini «sta pensando molto seria­mente a richiamare per consultazioni l’ambasciatore italiano in Zimbabwe», ha riferito il portavoce della Farnesi­na, Pasquale Ferrara. Per il presidente Usa George W. Bush le elezioni in Zim­babwe sono state un «pretesto per gua­dagnare tempo» e in nessun modo li­bere nè eque. Bush ha detto di aver or­dinato al dipartimento del Tesoro di individuare sanzioni contro il governo «illegittimo» di Harare. Tra queste un embargo delle armi contro lo Zim­babwe. Intanto si è saputo che un candidato dell’Mdc ha nettamente sconfitto il mi­nistro dell’Informazione del regime in una delle tre elezioni parlamentari suppletive che si sono tenute venerdì. I risultati definitivi delle presidenziali sono previsti già per oggi.

Fonte: Avvenire

A quando la chiusura dell'Onu, vista l'incapacità di prendere alcuna decisione anche in casi di palesi violazioni come questa? Eppure le immagini delle intimidazioni e degli omicidi seguenti al risultato elettorale del primo turno le abbiamo viste tutti... Se poi gli interessi politici vanno oltre l'interesse per il rispetto della legalità internazionale.. beh, vuol dire che l'Onu ha esaurito il suo scopo. Per l'appunto.

Diritti umani anche per Zapatero

domenica 29 giugno 2008


Zapatero e le scimmie

Questa poi! In verità è una vecchia proposta, il Parlamento spagnolo ne discuteva da due anni (si vede che non hanno altro da fare), ma oggi è diventata ufficiale. Il Congresso ha approvato il progetto "Gran Simios" che, in pratica, riconosce ad alcune specie di primati (gorilla, oranghi, scimpanzè) i "diritti umani". Ora però i primati, appena la notizia si è sparsa per la giungla, si sono detti molto preoccupati ed hanno ragione. Supponiamo che un gruppo di primati si avvicini ai recinti di Ceuta, l'enclave spagnola nel nord Marocco, e distrattamente cerchi di superare il recinto. Che fa Zapatero? Gli riconosce gli stessi diritti umani, li considera uguali alle persone e, quindi, gli fa sparare addosso dalle guardie di frontiera? Beh, è un bel problema. No?
Certo che questi socialisti sono una sagoma; una ne fanno e cento ne pensano. Tutto nasce, ovviamente, dalla solita storia dell'evoluzione e dal fatto che l'uomo discende dalla scimmia. Insomma, l'evoluzione della specie. Sì, quella cosa lì. E siccome le scimmie sono nostre antenate, gli dobbiamo almeno un minimo di rispetto. Tutto vero, a patto che si accetti questa discendenza. Però c'è un problema, ci sono almeno due fatti che potrebbero mettere in crisi questa teoria dell'evoluzione; l'echidna e i socialisti. Mi spiego.
L'echidna è un curioso animaletto che vive tranquillo e beato in Australia e viene considerato l'anello di congiunzione fra i rettili ed i mammiferi. Niente di strano, se non per il fatto che, secondo gli zoologi, questo animale dovrebbe essere scomparso da milioni di anni. Ma l'echidna non lo sa e continua imperterrito a fare l'anello di congiunzione e campare alla faccia degli zoologi. Il secondo aspetto riguarda i socialisti. Se è vero che le specie, col passare del tempo, si sono evolute è vero che anche l'uomo deve essersi evoluto, soprattutto a livello intellettuale, passando da un uso primitivo e limitato del cervello ad un uso più complesso che lo renda sempre più intelligente. Ma allora come si spiega l'esistenza dei socialisti? Ecco, socialisti ed echidna, sono due misteri irrisolti dell'evoluzione.

Sandro Oggiano, Cagliari


Fonte: IlFoglio

:D

Dagli amici li riconoscerete

venerdì 27 giugno 2008

Veltroni in trincea mal consigliato dai soliti Economìst, Scalfari&Co. Ma c’è già una possibilità di ripresa…
di Renato Farina

Il dialogo non c’è più. Lo ha ufficialmente dichiarato chiuso Walter Veltroni. Il problema è: quando finisce il dialogo cosa c’è? Escluderei il silenzio. Il contrario del dialogo infatti non è lo stare zitti, ma la guerra verbale. Letteralmente. Il contrario del dialogo è – ripeto – la guerra civile verbale, che ci tiriamo dietro da troppi anni per non esserne stufi.
Chi ha chiesto di sbarrare le porte ad un confronto sereno, magari duro, ma dentro un contesto di ascolto reciproco? E perché Veltroni ha obbedito a questo invito?

1. Il primo a domandare a Veltroni di mutare il suo atteggiamento è stato l’Economist. Avevamo denunciato proprio qui, su ilsussidiario.net, il significato dell’interferenza di una potenza estera quale è a tutti gli effetti il settimanale britannico. Rappresenta infatti i poteri finanziari sovrannazionali, i quali sin dal 1992 hanno cercato di destabilizzare il nostro Paese appoggiando il sisma di Mani pulite e la demolizione dei partiti non comunisti e di larga base popolare.
2. Dopo l’Economist è arrivato l’invito perentorio di Repubblica, per la penna di Eugenio Scalfari. Il quale ha ordinato a Veltroni di mettersi di traverso a Berlusconi, rinunciando a qualsiasi incontro per riformare insieme lo Stato. Il tutto e come sempre per ragioni di “morale”.
3. Infine, decisivo, è stato l’intervento della magistratura nel suo organo sindacale (Associazione nazionale magistrati) e in quello di autogoverno (Consiglio superiore della magistratura). Dichiarando una guerra preventiva, hanno infranto le regole della Costituzione pur di dichiarare incostituzionale quel che il Parlamento non aveva ancora discusso.

Veltroni ha accettato i diktat perché non ha la forza culturale e politica per resistere a questi poteri finanziari e culturali che non vogliono porre termine agli anni del disfacimento programmato del nostro Paese.
Tutto male dunque? Gelata per sempre la primavera di dialogo che si era respirata il 13 maggio, giorno della discussione sulla fiducia? I tempi sono amari. Le pressioni perché riprendano le logiche della giungla sono formidabili e purtroppo dall’alto stanno coinvolgendo anche la cosiddetta base. Si ripropongono girotondi, tornano le urla di chi ritiene demoniaca la figura di Berlusconi. Rispetto al passato però la gente-gente non sembra sensibile ai discorsi di sempre. Vuole vedere all’opera questo governo, che sta riscuotendo consensi imprevedibili anche solo tre mesi fa.
Non è solo questo che incoraggia. Esiste una realtà politico-parlamentare che procede, ed anzi si incrementa, incurante dei moniti delle piazze finanziarie e giudiziarie. È l’intergruppo per la sussidiarietà. Non è semplicemente una struttura dove confluiscono esponenti di schieramenti diversi e avversari: è il luogo dove si sperimenta un metodo di confronto sulle proposte, si converge nella pratica; e il dialogo non è semplicemente un modo gentile per discorrere, ma è un rafforzarsi reciproco nell’ideale di far crescere la società. Non è un funghetto nel boschetto, come nelle favole. È un nocciolo duro di persone che sono legate a realtà vive e che si riconoscono l’un l’altro come espressione di qualcosa che è più grande della politica, ma chiede alla politica la possibilità di esistere e di crescere nella libertà. Non sto qui esprimendo un pensiero edificante: da parlamentare partecipo di questo gruppo, ed è così, e ne sono stupito. C’è un’amicizia più forte dei niet. Finché c’è questa esperienza, c’è un po’ di luce in questa politica dove vogliono comandare poteri assai poco democratici.

Fonte: Il Sussidiario

Nessuno lo può giudicare

mercoledì 25 giugno 2008


Nessuno lo può giudicare

Il gruppetto di poche centinaia di contestatori che si è radunato davanti al “mitico” palazzo di giustizia di Milano inalberava, tra gli altri, un cartello che voleva essere sarcastico: “Nessuno mi può giudicare”. Il titolo di una vecchia canzone di Caterina Caselli veniva utilizzato per deplorare la volontà di Silvio Berlusconi di “sottrarsi” ai suoi giudici. Berlusconi in realtà si è già sottoposto per cinque volte al giudizio che conta, quello del popolo sovrano (come dice la Costituzione, sempre che questo concetto non venga considerato un’espressione di deprecabile populismo). Ha anche subito una ventina di procedimenti giudiziari, tutti finiti in una bolla di sapone, che persino il Financial Times ha giudicato come un tentativo di intromissione di un ordine giudiziario dotato di poteri strabordanti nella dialettica democratica. Berlusconi ne ha abbastanza, e con lui la gran parte degli italiani, che dopo tre lustri di ingerenze arroganti della magistratura vorrebbero che questa rientrasse nei ranghi. Naturalmente non è tutta la magistratura ad aver accarezzato il disegno di una rivoluzione giustizialista, ma la costante solidarietà espressa anche ai comportamenti più discutibili ha gettato un’ombra su tutta la corporazione.
Ci vorranno anni, forse decenni di serio lavoro perché la magistratura italiana recuperi la fiducia che ha sperperato in dissennate campagne politiche distruttive e in oblique manovre di potere. Autogarantendosi l’impunità, cercando di accreditare il suo Consiglio superiore come organo di censura preventiva del legislatore, costruendo processi a orologeria e diffondendo segreti istruttori per alimentare la gogna mediatica, senza beninteso mai cercare i responsabili di questi reati, ha inferto un danno incalcolabile alla stabilità delle istituzioni e, in primo luogo, alla giustizia. Il potere incontrollato e incontrollabile dei giudici, ostaggi delle procure politicizzate, non è giustizia, è il suo esatto contrario. Il presidente del Consiglio dei ministri eletto per tre volte dagli italiani non può e non deve essere giudicato da loro e dal loro corteo vociante di giustizialisti dalla coda di paglia. Può darsi che dalla loro abbiano commi e codicilli, interpretazioni capziose delle leggi e l’omertà della categoria giudiziaria. Hanno perso però, e per loro colpa, l’autorità civile per giudicare “in nome del popolo italiano” chi da quel popolo, cosciente delle accuse che gli venivano rivolte, è stato eletto democraticamente.

Fonte: IlFoglio

In gran parte condivisibile l'articolo, anche se la simpatia del soggetto in questione potrebbe non essere tanta. Il dato di fatto di una giustizia esasperatamente politica è però assolutamente incontestabile, così come è vero che sin dal secondo dopoguerra i vari partiti hanno fatto la lotta per piazzare meglio possibile propri galoppini nei posti più 'in' della magistratura. Con il risultato che vediamo oggi: processi politici inutili (e costosi) e poi si trascura questo.

Riforme varie

martedì 24 giugno 2008

Si lavora e si fatica...

sabato 21 giugno 2008

In carica da soli 33 giorni, il governo continua a mantenere gli impegni presi con l'elettorato, con una progressione impressionante. Dopo i decreti legge per affrontare l'emergenza rifiuti e per contrastare l'immigrazione clandestina, i provvedimenti per colpire la grande e piccola criminalità, l'abolizione totale dell'ici, la detassazione degli straordinari e dei premi di produzione, la rinegoziazione dei mutui è ora il momento della manovra economica.
Tremonti ha tenuto fede all'impegno di anticipare la manovra economica a prima dell'estate. Senza togliere un euro dalle tasche dei cittadini, si comincia ad aiutare chi ha più bisogno: carta prepagata per la spesa alimentare e le bollette per gli anziani con la pensione minima; fondo-casa per le giovani coppie; abolizione del divieto di cumulo tra pensione e lavoro per chi vuol proseguire l'attività; tagli ai costi del carburante; libri di testo e ricette mediche on line; liberalizzazione dei servizi pubblici locali per ridurre le bollette.

Si tratta di alcune delle misure a maggiore impatto popolare. E ci sono anche misure per lo sviluppo, come la conferma del ritorno al nucleare e la ripresa delle grandi opere, ad iniziare dalla Tav. Spariscono gli adempimenti burocratici introdotti da Prodi e Visco, come il grande fratello sui conti correnti, l'obbligo delle dimissioni su internet, la responsabilità, se fai dei lavori, di accertare che la ditta che hai chiamato sia in regola con fisco e contributi.

Nel suo saggio "La paura e la speranza" Tremonti ha elencato i pericoli che correva l'Europa di fronte agli eccessi della globalizzazione, alla crisi dei mercati e alle speculazioni della finanza mondiale di come questi rischiassero di scaricarsi sui ceti più deboli, sui poveri, sugli anziani, sulle famiglie e sui giovani. La manovra economica presentata mercoledì dà una prima risposta, anche con misure coraggiose come la cosiddetta "Robin Hood Tax", che colpisce i gua dagni eccessivi "di congiuntura" di petrolieri, banche e assicurazioni, per recuperare denaro da destinare a chi ha più bisogno.


E la sinistra? Zitta zitta, prepara la sua manifestazione a settembre "per il rischio democratico," mentre che ha davvero interesse a lavorare deve tappare i buchi lasciati da loro, che di lavorare sul serio proprio non avevano intenzione... Che dire, notate un piccolo riferimento al Buco di Roma, profondo quasi come la Fossa delle Marianne? Un altro (celebre) esempio di incapacità al governo, al quale il popolo italiano a voluto porre fine quanto prima... Per fortuna!

A proposito: stamane bellissima trasmissione politica, su RaiUno. Due gionalisti, de 'Il Tempo' e ' Il Giorno' (mi pare); uno dei due che afferma che "i provvedimenti in materia 'sociale' del governo - in particolare la Robin Tax - sono più di sinistra che di destra". Contenti loro, si tengano la paternità ideale dei provvedimenti, che in fin dei conti sono bravissimi a far chiacchiere...

Picche e Ripicche (18.06.2008)

venerdì 20 giugno 2008

Picche e Ripicche
di Lodovico Festa

# «A quando i sacchetti di sabbia lungo le strade delle nostre città?», dice Anna Finocchiaro alla Repubblica (15 giugno).
Una che sta in un partito insieme a Bassolino dovrebbe evitare di parlare di qualsiasi tipo di sacchetto lasciato lungo le strade.

# «Non sarà fascismo, ma certamente c’è un allarmante “incipit” verso una dittatura che si fa strada in tutti i sentori sensibili della vita democratica», dice Eugenio Scalfari sulla Repubblica (15 giugno).
Bè, la serie di diritti che si stanno conculcando è veramente vasta: niente più libera monnezza per le strade, gravi limiti ai linciaggi via intercettazioni, contrasto alla liceità di borseggio e altro ancora. C’è proprio un’arietta di “incipit” o forse l’incipit di “un’arietta”.


# «Non è accettabile che si preveda che, salvo casi eccezionali, le intercettazioni debbano di regola cessare dopo tre mesi», dice Carlo Federico Grosso sulla Stampa (14 giugno).
Obiettivamente grazie alle intercettazioni abbiamo appreso tante notizie sugli amori di questo con quella che per valutarne gli sviluppi le intercettazioni dovrebbero durare almeno nove mesi.

# «La gente non ha capito a che cosa servivamo», dice Paolo Ferrero al Riformista (14 giugno).
Questa è l’ipotesi ottimista. Quella pessimista è che l’ha capito benissimo.

# «E comunque il fatto che la sinistra abbia potuto governare per poco più di un anno e mezzo è un dato importante di cui bisogna tenere conto», dice Sabrina Ferilli alla Stampa (12 giugno).
Comunque, anche se non ne tenessero conto i lettori della Stampa invitati a farlo da Sabrillona, ne hanno tenuto abbondantemente conto gli elettori.

# «Per la prima volta io disprezzo una persona», dice Ciriaco De Mita al Riformista riferendosi al segretario del Pd (12 giugno).
Non è che l’abbia preso proprio bene il fatto che Veltroni l’abbia escluso dalle liste.

#Hume? Lui avrebbe staccato la spina a Welby”, dice un titolo di Liberazione (12 giugno).
E Kant non avrebbe sicuramente invaso l’Iraq? Qualche incertezza, invece, sui comportamenti di Spinoza rispetto ai problemi della Striscia di Gaza?

# «È il candidato dell’epoca di YouTube», dice Alessandra Carrera su Europa riferendosi a Barack Obama (12 giugno).
Se è per questo anche Veltroni era abbastanza un candidato del tube.

# «Mi sento pessimista sul futuro del Pd perché sinora nessuno ha riconosciuto la sconfitta», dice Arturo Parisi alla Stampa (11 giugno).
Singolari parole da parte del braccio destro di quel bel tomo di Prodi che ancora va in giro dicendo di avere governato benissimo.

# «Spesso intercettando un primo telefono che non dà frutti all’inchiesta, si scoprono nuove utenze che possono essere interessanti», dice Bruno Tinti all’Unità (11 giugno).
Non è che i magistrati siano invasivi, è che sono golosi e le intercettazioni sono come le ciliegie. Una tira l’altra.

# «Ho ottenuto anche l’uscita dell’Italia dalla Nato», dice Marco Rizzo al Riformista (11 giugno).
Ormai i paleocomunisti sono come quelli che nel ’68 dichiaravano guerra all’America con il voto dell’aula 201.

# «Abbiamo impiegato quasi un ventennio a riconoscere opportunità e rischi dei nuovi scenari», dice Walter Veltroni sull’Unità (10 giugno).
Ecco quello che si chiama un politico sveglio e veloce.


Fonte: Tempi.it

Fate come me: compratevi una Ford!

Fiat, scuse alla Cina per lo spot Delta
Tibet ancora pietra dello scandalo, e questa volta la politica non c'entra niente. Scuse al governo di Pechino per la pubblicità della nuova Lancia Delta che ha per testimonial Richarde Gere, l'attore noto per essere da tempo grande sostenitore - anche in termini economici, attraverso la Gere Foundation , alla quale ha deciso di devolvere il compenso della sua partecipazione alla campagna pubblicitaria - della causa tibetana. In una nota del Lingotto si legge che al Gruppo Fiat «è recentemente giunta notizia che la pubblicità della nuova Lancia Delta potrebbe turbare la sensibilità del popolo cinese. Queste scelte non hanno mai avuto nulla a che fare con ragioni politiche o con l'intenzione della Fiat di interferire con il sistema politico interno di nessun Paese, tanto meno nei confronti della Repubblica Popolare Cinese».

«Nel caso in cui la pubblicità della Lancia Delta possa aver dato origine a fraintendimenti circa una consolidata posizione di neutralità dell'azienda - si legge ancora nella nota - il Gruppo Fiat intende presentare le proprie scuse al Governo della Repubblica Popolare Cinese e al popolo cinese». Nello spot si vede l'attore che, dopo aver percorso una lunga strada da Hollywood al Tibet, è al fianco di un bambino vestito da monaco buddista e appare lo slogan: la forza della differenza.

La casa automobilistica torinese guidata da Sergio Marchionne ribadisce che «la scelta di Richard Gere come testimonial della Lancia Delta è stata dettata dalla sua lunga ed illustre carriera artistica. Allo stesso modo la scelta del tema da parte dello stesso Gere riflette il nostro impegno a sostegno della libertà di espressione artistica». Scelta che comunque «non va intesa come un avallo del Gruppo Fiat alle opinioni sociali e politiche dell'artista». Fiat riafferma pertanto «la propria neutralità in merito a qualsiasi questione politica, sia essa nazionale o internazionale».

Fonte: ilSole24Ore

Perdinci, stiamo attenti a non offendere in nessun caso il mostro cinese, non sia mai! Come diceva Churchill: "La persona conciliante è uno che nutre il coccodrillo sperando che questo lo mangi per ultimo". A questo punto, tanto vale risparmiare l'agonia alla Fiat, non trovate?

Falce e martello, il criterio è sempre quello

giovedì 19 giugno 2008


Falce e martello come la svastica
di Giordano Bruno Guerri
La decisione del Parlamento lituano di mettere al bando falce, martello e stella rossa non è né «triste» né «offensiva», come ha dichiarato Liudmila Alexeieva, responsabile moscovita del gruppo di Helsinki per i diritti umani. Il piccolo Paese baltico, annesso militarmente all’Unione Sovietica nel 1940, per quasi mezzo secolo è stato sottoposto al dominio russo e comunista senza essere né russo né comunista. La classe dirigente venne estromessa, perseguitata e sostituita con funzionari di partito; gli oppositori subirono tutta la sequenza dell’oppressione staliniana, incarcerati, spediti nei gulag, uccisi. Il popolo subì tutti i danni della collettivizzazione forzata, della burocrazia centralizzata, della totale mancanza di libertà. «Eravamo uno Stato totalitario, autoritario, ma non fascista», ha aggiunto la Alexeieva, seguita da parte della stampa russa: trascurando di ricordare che il comunismo ha provocato, nel mondo, centinaia di milioni di morti. A partire da quello sovietico. Certo, i lituani - come gli altri popoli che ebbero uguale sorte - non hanno mai dimenticato i tre feroci anni di occupazione nazista (1941-44), che fra l’altro portarono allo sterminio di duecentomila ebrei locali. Ma è significativo che oggi mettano sullo stesso piano svastica, falce e martello: anche se pure da noi c’è chi può fare fatica a capirlo. In Italia abbiamo avuto il più potente Partito comunista dell’Occidente, che però non è mai riuscito ad arrivare al potere, o alla dittatura, grazie non tanto alle virtù della nostra democrazia quanto al patto di Yalta, che nel 1945 ci destinò al mondo libero. Da noi, dunque, la falce e il martello non sono stati percepiti come simbolo di distruzione e di violenza tanto più cieca quanto lucida, come quella nazista. In Italia la memoria storica e collettiva di chi ancora crede nel marxismo, o se ne è distaccato da poco, è legata alle giuste lotte e ai sogni ottocenteschi di riscatto delle classi più povere; poi, falliti i tentativi insurrezionali del primo dopoguerra, il partito di Gramsci fu quello stroncato con la forza dal fascismo, e che contro il fascismo risorse vent’anni dopo. Oggi sappiamo che la Resistenza commise, oltre che subire, ferocie inaccettabili. E che moltissimi - troppi - partigiani aspiravano a fare dell’Italia un paradiso dell’Internazionale. I più non sapevano e non potevano sapere cosa ciò avrebbe significato: una dittatura che avrebbe portato miseria e isolamento, come negli altri Paesi satelliti dell’Unione Sovietica. Avendo avuto la fortuna - per loro e per tutti - di non arrivare al potere, i comunisti nostrani hanno potuto continuare a considerarsi i salvifici paladini degli umili, emendati dalle responsabilità storiche del comunismo sovietico per via di “strappi” sempre troppo parziali e tardivi: dopo Budapest nel 1956, dopo Praga nel 1968. Per tutti questi motivi è impensabile che da noi si segua l’esempio lituano, mettendo sullo stesso piano la croce uncinata e la falce con il martello. Non si dica, però, che i lituani hanno torto.

Fonte: Il Giornale.it

Eppure continuerò a coltivare il sogno, la speranza, che in questo paese ipocrita e falso si possa presto giungere alla chiarezza di cosa è stato il comunismo per la terra tutta: la più grande mattanza della storia recente. Non ci sono vicende 'di casa nostra' che possono far cambiare idea su quella che è stata la più grande dittatura del secolo. E che continua, tutt'oggi, a privar della libertà milioni di persone, in nome di un'ideologia violenta e liberticida. Altro che compagni.

Al Gore NON E' un profeta

lunedì 16 giugno 2008

Gli orsi polari annegheranno tutti. Lo dice Al Gore, ma noi non ci crediamo
L’ambientalista scettico Bjorn Lomborg spiega perché il global warming è un problema serio, talmente serio che deve essere tolto dalle mani dei catastrofisti verdi che campano sulle nostre paure. Se investissimo altrove un sessantesimo di quanto vuole Kyoto, potremmo evitare 85 milioni di morti
di Angelo Crespi

Gli orsi polari sono il primo problema. Se la terra continuerà a riscaldarsi, come avvertono gli ecologisti più duri, i ghiacci si scioglieranno e questa specie di plantigradi non ce la farà a sopravvivere. Al Gore che del “verdismo” è un vero professionista, ne è convinto e cita le stime del WWF: gli orsi annegheranno in massa, oppure smetteranno di riprodursi entro il 2012, cioè tra soli quattro anni. Detta così, sembra persino inutile farsene un cruccio, e parimenti inutile pensare a costosissimi interventi per invertire la rotta del clima.
D’altronde, quella del riscaldamento globale e dell’effetto serra è una litania ormai così ben collaudata da lasciare interdetti i pochi resistenti. Al Gore, sedicente ambasciatore mondiale del protocollo di Kyoto, vince il Nobel per la Pace, Bjorn Lomborg, professore di statistica danese e autore del comunque fortunato "L’ambientalista scettico", è invece guardato con sospetto, al massimo con poco cortese sussiego.
Eppure Lomborg, da micranioso matematico, sviscera dati e cifre che sembrerebbero contrastare in modo definitivo il catastrofismo di cui l’Occidente è vittima. Per esempio nell’ultimo studio (Stiamo freschi, Mondadori, pp.232, €18,00) con la solita verve e pacatezza, ci mostra come l’allarmismo in tema di warming è davvero fuori luogo. E se anche “warming” ci sarà come sembra, non è con il protocollo di Kyoto che potremo ovviare.

Seguiamo il percorso di Lomborg. Innanzitutto sfatiamo la leggenda degli orsi bianchi. Dagli anni Sessanta in poi, la popolazione complessiva di questi animali è aumentata da 5.000 esemplari a 25.000, soprattutto in ragione di una maggior regolamentazione della caccia. I mutamenti climatici per ora non sono stati influenti e tanto meno i gas serra.

Adesso analizziamo il “riscaldamento globale” che suscita preoccupazioni per via del cosiddetto “effetto serra” che di per sé è un fatto naturale e positivo, visto che in mancanza il nostro pianeta sarebbe mediamente più freddo di 33 gradi centigradi e di fatto molto meno ospitale.
Dalla fase industriale in poi, gli uomini hanno contribuito, bruciando combustibili fossili, ad aumentare il contenuto totale di biossido di carbonio (CO2) presente nell’atmosfera e dunque a facilitare il riscaldamento del globo. Se le politiche industriali ed energetiche non cambieranno, entro il 2100 la temperatura media si alzerà di 2,6° C. La qual cosa è poco significativa: nonostante le fosche previsioni dei registi di Hollywood, ciò non produrrà ondate di caldo a dismisura e immani desertificazioni, più semplicemente serate invernali meno fredde.

Più in generale, aumenterà il caldo dove è già caldo, ma diminuirà il freddo dove è ora freddo. Così, se davvero moriranno più persone per il caldo, meno ne moriranno per il freddo e secondo le statistiche al giorno d’oggi sono infinitamente molti di più i morti freddati che quelli accaldati anche se quest’ultimi fanno maggior rumore (tanto per dire, in Inghilterra 2.000 persone l’anno muoiono per il caldo, circa 25.000 per il freddo).
Inoltre, è bene ricordarlo, durante lo scorso millennio le temperature sono aumentate, diminuite, poi di nuovo aumentate per cause naturali. Abbiamo avuto un “periodo caldo medioevale” durante il quale i vichinghi conquistarono terre altrimenti insopitali come la Groenlandia (“terra verde”) e il Vinland, l’attuale Terranova (“terra delle vigne”). Poi a metà dello scorso millennio ci fu la cosiddetta “piccola era glaciale” grazie alla quale, tramandano le cronache, gli eschimesi approdavano con i loro kayak in Scozia.
E anche negli ultimi decenni le cose, almeno dal punto di vista mediatico, non sono andate meglio, basti compulsare gli ultimi cinquanta anni di pubblicistica in cui si sono alternate minacciose profezie sul riscaldamento e sul raffreddamento con le più autorevoli testate del mondo, dal New York Times al Science Digest, a rincorrersi sbagliando.

Arriviamo però al terzo punto messo in luce da Lomborg, chiedendoci se le attuali politiche sancite a Kyoto nel 1997 sono davvero efficaci per ridurre i gas serra e contestualmente limitare il surriscaldamento.
Anche se tutti i Paesi industrializzati lo avessero ratificato (Usa e Australia non lo hanno fatto) e tutti avessero attuato le direttive (cosa che molti faticheranno a fare) e vi si attenessero per tutto il XXI secolo (cosa ancora più difficile), i cambiamenti sarebbero comunque lievi: «nel 2050 la temperatura si ridurrebbe di un impercettibile 0,5° C e nel 2100 sarebbe più bassa soltanto di uno 0,18° C. Ciò significa che l’atteso aumento di temperatura sarebbe rimandato di 5 anni, dal 2100 al 2105».
E tutto questo sforzo pressoché inutile, costerebbe “appena” 180 miliardi di dollari all’anno a partire dal 2008, circa lo 0,5 del Pil mondiale. Dal che si deduce che il costo per ridurre le emissioni è quasi improponibile e comunque svantaggerebbe troppo i Paesi oggi leader nel mondo, ed è altresì velleitario credere che la civiltà possa fermarsi assumendo comportamenti preindustriali.
Detto per inciso, se davvero pensassimo di abbassare le temperature in una megalopoli come Los Angeles sottoposta a fenomeni di warming anche per problemi diversi dall’effetto serra, basterebbe dipingere l’asfalto delle strade di bianco, i palazzi e i tetti con colori chiari, piantare 11 milioni di alberi, e il costo dell’operazione una tantum sarebbe appena di 1 miliardo di dollari, ma produrrebbe benefici annui per circa 170 milioni di dollari e riduzione dello smog per circa 360 milioni. Le temperature poi si abbasserebbero di oltre 3° C.

Ma questo è ancora poco. Lomborg giustamente sottolinea come il problema del riscaldamento globale sia solo uno dei tanti sul tappeto.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, i cambiamenti climatici uccidono attualmente ogni anno circa 150.000 persone nei Paesi in via di sviluppo.
Vale però la pena ricordare che almeno 4 milioni sono i morti per denutrizione, 3 milioni per l’Aids, 2,5 milioni per l’inquinamento negli ambienti interni o esterni, 2 milioni per carenze nutrizionali, e quasi 2 milioni per mancanza di acqua potabile.
Davanti a queste cifre, è ovvio che le priorità cambiano. L’importante è valutare, come ha fatto un gruppo di studio con alcuni premi Nobel, il vantaggio reale che si trae per ogni dollaro speso.
In una tabella comparativa dell’efficienza economica dei vari investimenti possibili (Cfr Lomborg p. 43) si nota come alcune soluzioni a problemi mondiali siano ottime opportunità (per esempio per la “denutrizione” l’apporto di micronutrienti), alcune altre siano buone opportunità (sempre per la “denutrizione” lo sviluppo di nuove tecniche agricole), altre ancora siamo mediocri opportunità (sempre per la “denutrizione” il miglioramenteo dell’alimentazione di neonati e bambini), e infine alcune siano cattive opportunità (per il “clima”, appunto il protocollo di Kyoto).

Ovviamente con questo non si vuol dire che non dobbiamo fare nulla per i cambiamenti climatici, ma solo che bisogna muoversi in modo più intelligente, investendo risorse in strumenti che davvero portino benefici concreti.
Quella del “riscaldamento”, grazie agli ambientalisti alla Al Gore, è diventata una vera ossessione che rischia di farci dimenticare il resto e di misurare le politiche sociali solo in ragione del CO2. Per esempio, siamo preoccupati per i danni provocati dagli uragani negli Stati Uniti forse causati dal mutamento climatico, eppure non vengono migliorati i regolamenti edilizi.
Applicando Kyoto possiamo evitare circa 140.000 morti per malaria nel corso di un secolo, ma con un sessantesimo dell’investimento direttamente sulla malaria potremmo evitare 85 milioni di morti.
Per ogni persona salvata dalla fame grazie a Kyoto ne potremmo salvare 5.000 tramite alcune semplici politiche agricole.

In conclusione, saggiamente Lomborg propone alcuni rimedi. In primis, la possibilità che ogni nazione più che investire tout court sulla diminuzione delle emissioni dannose, spenda almeno lo 0,05% del Pil nella ricerca e messa a punto di tecnologie a zero emissione di biossido di carbonio. Il costo sarebbe relativamente basso, ma permetterebbe di massimizzare gli sforzi e renderli adeguati economicamente e politicamente a ciascun Paese.

Se invece continuassimo sulla strada segnata dal protocollo di Kyoto, rischieremmo di impoverire eccessivamente le future generazioni e a quel punto il riscaldamento, gioco forza, non sarebbe più il primo problema.
La partita non è facile. Già oggi, per fare un esempio, ci vorrebbe poco per diminuire le morti da incidente stradale che sono tra le prime cause di mortalità in Occidente. Eppure non viene fatto nulla.
Nel caso del clima si è scelta la strada peggiore, cioè quella di instillare inutile preoccupazione e paura per il futuro, quasi si cercasse un capro espiatorio. La cosa è già successa nella storia. L’allarmismo ha radici antiche: nell’Europa medievale molte streghe venivano accusate di essere la causa del maltempo, e bruciate. Questo sì, un surriscaldamento nefasto.

Fonte: Il Domenicale

Basta per confermare che Al Gore è un furfante che si è arricchito grazie alle paure della gente o occorrono altre motivazioni?

C'è chi dice no...

sabato 14 giugno 2008


L'Irlanda rifiuta la ratifica del Trattato di Lisbona. Ben fatto. E' un insieme di carta nato morto. Hanno fatto una porcata, gli è stato dato il benservito dalla verde cattolicissima Irlanda. Che ringraziamo per aver fatto emergere tutto il putridume di un accordo meramente politico che ben poca attinenza ha con il sentire dei veri europei.

Leggere anche:
commento di Fausto Carioti
conseguenze: parla il Vicepresidente dell'Europarlamento, Mario Mauro

Pacifinti di tutto il mondo....

giovedì 12 giugno 2008

Pacifisti double face
di Mario Cervi
Finalmente, ieri pomeriggio, si sono svegliati a Roma gli appassionati del corteo di protesta contro le ingiustizie del mondo, i nemici delle dittature, gli amici degli oppressi, gli apostoli della libertà, i firmatari d’ogni possibile appello antifascista. Temevamo fossero evaporati, non avendone notato la presenza e nemmeno l’irruenza nei giorni scorsi, quando pure erano sembrate imperdibili le occasioni per dare sfogo ai loro slanci virtuosi.
La Città Eterna aveva dovuto ospitare, per una assemblea della Fao, alcuni tra i peggiori e più inquietanti attori della scena internazionale. S’era esibito, nel suo risaputo e minaccioso copione, l’iraniano Ahmadinejad: al quale piacerebbe tanto che Israele fosse cancellata - possibilmente in forma cruenta - dalla carta geografica. Nella speranza di veder realizzato questo suo sogno, Ahmadinejad allestisce ordigni atomici. Potrebbero riuscirgli utili. I romani hanno anche avuto il dubbio privilegio di vedere da vicino quel brutto ceffo che risponde al nome di Robert Mugabe: oppressore e affamatore del suo popolo. Si sono fatti vedere altri tipi poco raccomandabili, il Terzo mondo ne ha un serbatoio pressoché inesauribile. Ma la Roma del «no pasaràn» e del «go home» è rimasta tranquilla, zitta, serena di fronte alla presenza di questi forsennati che dovunque si trovino annunciano sfracelli. I descamisados delle rivoluzioncelle italiche erano tutti impegnati in assalti alle code alla vaccinara anziché ai palazzi del dispotismo.
Ma avevamo dubitato a torto. I nipotini dei «partigiani della pace», che vedevano in Giuseppe Stalin la personificazione della mitezza, si sono riavuti dalla catalessi non appena il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha messo piede a Roma. Subito in piazza, allora. A urlare contro questo potente e prepotente che anziché farsi nominare Capo dello Stato a vita - come è buona consuetudine altrove - tra qualche mese se ne andrà dalla Casa Bianca. Il raduno anti-Bush aveva connotazioni malinconiche: con i trombati dell’estrema sinistra nelle ultime elezioni politiche, con sindacalisti in disarmo, con i soliti dervisci impazziti dei centri sociali. Non sono in particolare sintonia con la politica di Bush, e ammetto che democraticamente lo si contesti. A patto che lo si faccia dopo aver riconosciuto - se si è onesti - che è alla testa d’una vera democrazia, e che governa nella libertà. Sa invece di malafede e di ipocrisia lontano un miglio il comportamento di chi tace al passaggio di tiranni tracotanti e si sente oltraggiato perché il presidente d’un grande Paese alleato è a Roma. Oltraggiati siamo noi, di fronte a questa doppiezza.

Fonte: IlGiornale.it

Altro che vocazione ideale. Politica, e pure di basso livello. Non una novità, naturalmente. Sarei curioso di sapere dove trovano i soldi i vari pacifinti per le loro allegre riunioni in giro per l'europa a devastare le città. Non è stato il caso di Roma, per fortuna, ma magari si è trattato solo di un caso... Ma la mia curioità non avrà mai risposta, probabilmente, dato che ci sarà di mezzo qualche gruppuscolo piuttosto ricco che elargisce a piene mani... o vorreste farmi credere che basta autotassarsi per fare tutto ciò che fanno - ogni volta - quelli dei Centri Sociali?

Dedicatevi ad un altro sport, ora...

mercoledì 11 giugno 2008



Bentrovati! Motivi tecnici mi hanno trattenuto per alcune settimane... ma eccomi nuovamente qui!

Disegno del mitico Vincino, al solito! ;)