A proposito di riforma Gelmini...

giovedì 23 ottobre 2008

Il governo non può pagare sprechi, baronie e inefficienze degli Atenei
di Raimondo Cubeddu


Forse bisognerebbe partire da ciò che ha detto il Ministro Gelmini nella conferenza stampa col Capo del Governo: "Ho avviato controlli in alcuni atenei che sono vicini al dissesto finanziario e che sono peraltro quelli dove le occupazioni sono più forti [...] Il tentativo di riversare sul governo la responsabilità di una cattiva gestione che oggi raggiunge il livello di guardia è smentito dai fatti. Quindi cerchiamo di mettere le carte in tavola, di giocare a carte scoperte".

Tristemente, o pateticamente, l'autunnale protesta del mondo della scuola è purtroppo, come gli spaghetti, il mandolino e la mafia, parte integrante del folklore italiano; e fa bene Berlusconi a dire che occorre porre fine ad una buffonata che dura da decenni. Un male endemico ed indifferente ai contenuti ed ai governi, come ben sa chi ricorda le proteste contro le riforme di Berlinguer. Il tutto - con le irrinunciabili occupazioni, piccole e grandi violenze, tentativi di intimidire chi si rifiuta di firmare documenti deliranti, etc. - nel paese in cui si vorrebbe insegnare ad ogni livello la 'cultura della legalità', il rispetto delle 'diversità' e il 'patriottismo costituzionale' (le versioni moderna e colte della vecchia 'educazione civica').

Che a questi mestatori non debba essere offerta l'occasione del 'martirio' è nella logica delle cose politiche e nella gestione prudenziale di vicende che vedono coinvolti frotte di giovani e meno giovani che aspirano a fare i testimoni di una 'nuova Resistenza'. Ma qualcosa bisogna pur fare, soprattutto perché il nostro sistema educativo non ha tanto bisogno di ritocchi che eliminino piccoli difetti, quanto di una riforma radicale la cui urgente necessità non può essere accantonata nella speranzosa attesa che dal variopinto insieme di 'esperti di problemi educativi', che da decenni 'consigliano' i ministri proponendo riforme deliranti quanto le proteste dei contestatori d'oggi, emerga un nuovo Croce o un nuovo Gentile.

Prima di ritornare sulle parole del Ministro Gelmini è però bene fare alcune considerazioni. Nel nostro paese – il quale, e non dimentichiamolo, figura nelle posizioni di coda dei vari rapporti internazionali sull'educazione, e che comprendono anche paesi non occidentali – son stati smantellati o ristrutturati interi settori industriali con il licenziamento o la collocazione in cassa integrazione di migliaia di lavoratori a basso reddito. Nella scuola e nell'università si intende soltanto monitorare l'emergenza bloccando per alcuni anni il turn over.

Dai tempi della riforma Berlinguer era chiaro che l'autonomia universitaria avrebbe comportato la possibilità di scegliere se investire risorse nella didattica, nella ricerca o nei servizi. Si trattava quindi di una responsabilizzazione a cui gran parte del mondo accademico ha risposto in maniera sostanzialmente sbagliata (anche se le cosiddette 'valutazioni comparative' su base locale le ha pensate un qualche ministro del passato) sia aumentando le spese del personale con talora immotivate promozioni interne, sia aumentando il numero dei corsi e tenendoli in vita anche se frequentati da pochissimi studenti.

Dopo alcuni anni si scopre così che le spese per il personale hanno raggiunto, e talora superato, il 90% dei bilanci, che molte università hanno accumulato centinaia di milioni di euro di debiti, che alcune di esse non hanno neanche pagato i contributi previdenziali per i propri dipendenti. Che per la ricerca, come per la pulizia dei locali, non ci sono fondi.

Chi oggi protesta sostiene che ricerca e didattica, ovvero le riforme, non possono essere fatte a costo zero, ma non ha un progetto alternativo adeguato ai tempi e alle circostanze. Il tentativo, come giustamente ricorda la Gelmini, è quello di scaricare sull'attuale governo le responsabilità della situazione. E' vero che la produzione di cultura è un bene pubblico che in genere non ha ricadute immediate e i cui risultati, poiché si vedranno nel tempo, vanno sostenuti dalla finanza pubblica; ma da qui a sostenere che il governo debba pagare il conto della megalomania di docenti ed atenei (moltiplicazione di corsi e sedi) il passo è lungo. E i tempi, come è abbondantemente noto, non consentono di fare un'eccezione per quei settori, come l'università, non proprio 'virtuosi'.

Inoltre, è da dire che il mondo dell'università, anziché strumentalizzare gli studenti per nascondere i propri errori, dovrebbe assumersi qualche responsabilità per quel che è successo e per l'opposizione ai progetti di riforma che sostanzialmente propongono di legare la qualità della didattica e della ricerca a un conto economico. Ciò che vuol dire razionalizzare e valorizzare quel che viene prodotto: cosa diversa dall'accusare la Gelmini di voler 'privatizzare la scuola' e trasformare le università in fondazioni.

Ciò detto, è purtroppo innegabile che fin dalla sua nascita, l'attuale governo ha sottovalutato il problema dell'università. Non era difficile prevedere quel che sta accadendo, ma, e ancora una volta purtroppo, si è aspettato che la protesta esplodesse. Quei "controlli" si sarebbero dovuti fare prima. E accanto ad essi chiederei al Ministro anche di accertarsi se sia vero quel che mi è capitato di sentire da un alto dirigente scolastico di una città di provincia ma con una grande università: che per i programmi ministeriali lo scopo dell'educazione primaria sarebbe quello di "costruire la struttura mentale" del fanciullo; ciò per cui sarebbe necessario uno staff di docenti. Sinceramente non solo non me lo sarei mai immaginato, ma non me ne sono neanche accorto. Non sarà forse il caso di chiedersi chi ha fatto quei programmi e, soprattutto, se il degrado del nostro sistema educativo sia da mettere in correlazioni con simili futili aberrazioni da regime totalitario?

E' vero che le emergenze son tante e che il governo non può stabilire l'ordine in cui si presentano; ma arrivare oggi a dire che tra qualche mese sarà presentato un progetto di riforma organico senza che di esso si sappia al momento molto, non è stato saggio. In particolare dal punto di vista della comunicazione all'opinione pubblica, che purtroppo è finora mancata.

D'altra parte non appare né saggio né prudente far di tutta la mala erba un fascio. La realtà, infatti, e per parziale fortuna, è che accanto ad università irresponsabili ve ne sono altre che in questi anni hanno ridotto significativamente la spesa corrente e sono riuscite a fare una politica del personale finalizzata ad obiettivi realistici nel campo della ricerca e della didattica. Università che, come lamentano i loro rettori, è ingiusto punire accomunandole agli stessi criteri di rigore, imposto e doveroso, cui sono da assoggettare quegli atenei sull'orlo del disastro economico e culturale. Se la cattiva gestione è il risultato di comportamenti 'non virtuosi', e non dei provvedimenti governativi, perché non prevedere, non foss'altro che per spezzare il fronte della protesta, un qualche 'premio' per quegli atenei che non corrono il rischio del "dissesto finanziario"?

Fonte: L'Occidentale

Opinione con alcuni spunti interessanti, non trovate? O vogliamo fare come fanno tutti, cioè perderci nelle banali logiche di partito e di politica spicciola? All'Università italiana occorre una riforma, è una questione logica evidente agli occhi di tutti. Al solito ci si pone davanti l'alternativa: o proporre politiche alternative che permettano di evitare la bancarotta, o sbattere i piedi perchè non si vuole correre il rischio di affrontare una riforma certo difficile ma altrettanto necessaria.

Protestare a senso solo se l'intenzione è quella di proporre alternative valide e percorribili e non, come alcune sigle stanno facendo in queste ore, protestare per (di fatto) mantenere privilegi e sprechi il cui peso, domani, ricadrà come un macigno su tutto l'insieme dell'istruzione italiana. Si vuole forse arrivare a questo?

1 Comment:

gaddhura said...

Un documento interessante è disponibile qui. Un giudizio che coglie alcuni dei problemi dell'istruzione italiana.